Contributo a fondo perduto per interventi edilizi detraibili al 90%: la presentazione dell’istanza

L’Agenzia delle entrate ha definito i termini e le modalità per l’invio della domanda per richiedere il contributo a fondo perduto sugli interventi edilizi detraibili al 90%, in relazione alle spese sostenute dal 1 gennaio al 31 ottobre 2023 su immobili adibiti a prima casa e parti comuni condominiali (Agenzia delle entrate, provvedimento 22 settembre 2023, n. 332648).

L’articolo 9, comma 3, del D.L. n. 176/2022, prevede l’erogazione di un contributo a fondo perduto a favore dei soggetti che dal 1 gennaio al 31 ottobre 2023 hanno eseguito interventi edilizi previsti all’articolo 119, comma 8-bis, primo e terzo periodo, del D.L. n. 34/2020.

Si tratta di un contributo riservato alle persone fisiche che nel 2022 hanno avuto un reddito di riferimento, calcolato sulla base dei criteri introdotti dal D.L. aiuti-quater, non superiore a 15000 euro, titolari di diritto di proprietà (o di diritto reale di godimento) sull’immobile oggetto di interventi edilizi e che beneficiano della detrazione del 90%.

Fra tali beneficiari dell’agevolazione sono ricompresi anche gli eredi che conservano la detenzione materiale e diretta dell’immobile, in relazione agli interventi sostenuti dal de cuius.

 

Base per il calcolo della misura del contributo è il quantum di spesa rimasto a carico del richiedente su un massimo di spesa agevolabile sostenuta pari a 96000 euro. L’ammontare del contributo erogabile, quindi, sarà pari al 10% delle spese agevolabili sostenute dal richiedente fino a un massimo di 9.600 euro.

 

Al riguardo, il nuovo provvedimento delle Entrate rende nota l’approvazione del modello “Istanza per il riconoscimento del contributo a fondo perduto sugli interventi edilizi 2023 detraibili al 90%” che, in particolare, include:

  • un quadro A per l’indicazione dei dati catastali identificativi dell’unità immobiliare adibita ad abitazione principale per la quale si richiede il contributo;

  • un quadro B per l’indicazione dei codici fiscali dei componenti del nucleo familiare del richiedente e/o del de cuius nell’anno 2022 e per l’indicazione delle spese sostenute, nel periodo compreso tra il 1 gennaio 2023 e il 31 ottobre 2023, dal richiedente e/o dal de cuius e dagli eventuali ulteriori soggetti possessori dell’unità immobiliare indicata nel quadro A e relative agli interventi edilizi per i quali spetta la detrazione limitatamente al 90% del loro ammontare, al lordo dell’eventuale sconto in fattura applicato dal prestatore a fronte della cessione del credito d’imposta corrispondente alla detrazione, con specifica della data del primo bonifico effettuato;

  • un quadro C che riepiloga i dati indicati dal richiedente, necessari alla determinazione del contributo.

L’istanza può essere presentata dal 2 al 31 ottobre 2023, anche tramite un intermediario abilitato alla consultazione del Cassetto fiscale, esclusivamente via web attraverso una procedura che sarà resa disponibile nell’area riservata del sito istituzione dell’Agenzia.

In caso di errori riscontrati nella domanda già inviata, sarà possibile presentarne una nuova corretta in sostituzione della precedente.

Alla presentazione dell’istanza sarà rilasciata una prima ricevuta che ne comunicherà la presa in carico, cui seguirà una comunicazione sull’esito, con l’importo riconosciuto e l’avvenuto mandato di pagamento del contributo o lo scarto dell’istanza e i motivi che lo hanno determinato.

 

L’erogazione del contributo verrà effettuato mediante accredito sul conto corrente identificato dall’IBAN indicato nell’istanza, intestato al soggetto richiedente, identificato dal relativo codice fiscale.

Successivamente all’erogazione dei contributi, l’Agenzia procederà al controllo dei dati dichiarati.

Se da tali controlli emergesse un’erogazione non spettante, l’Agenzia procederà, infine, alle attività di recupero del contributo erogato, di irrogazione di sanzioni e di richiesta degli interessi dovuti.

Modello 730/2023 in scadenza al 2 ottobre 2023

L’Agenzia delle entrate ha ricordato l’imminente scadenza per l’invio del 730/2023, fissata a lunedì 2 ottobre, ricapitolando i passi da seguire per trasmettere la dichiarazione dal proprio pc (Agenzia delle entrate, comunicato 18 settembre 2023).

Il 730 precompilato deve essere inviato entro il 2 ottobre 2023, dopo eventuali integrazioni e modificazioni, mentre per il modello Redditi (e per il modello Redditi correttivo del 730) c’è tempo fino al 30 novembre 2023.

L’Agenzia delle entrate ricorda, per coloro che hanno poca dimestichezza con l’applicativo web o non hanno la possibilità di usarlo in prima persona, la possibilità di delegare un familiare o una persona di fiducia per gestire la propria precompilata: visualizzandola, accettandola o modificandola e inviandola nel proprio interesse.

 

L’Agenzia, inoltre, illustra i passi per inviare tale dichiarazione:

  1. accedere alla dichiarazione entrando nella propria area riservata sul sito dell’Agenzia con le credenziali Spid, Cie o Cns;

  2. visualizzare il modello precompilato e consultare nel dettaglio gli importi già inseriti per confermarli oppure, tramite la funzione “Compilazione assistita”, modificarli e inserirne di nuovi in modalità guidata.

Utili spiegazioni per capire la procedura di invio sono inoltre fornite da un video-tutorial caricato sul canale YouTube dell’Agenzia.

Il sito dedicato “info730” raccoglie tutte le informazioni utili e le risposte alle domande più frequenti e, oltre a ciò, sul sito delle Entrate è disponibile anche la guida “La dichiarazione precompilata 2023 – pdf“. 

 

Coloro che volessero autorizzare un familiare o un’altra persona di fiducia a operare sulla propria dichiarazione online hanno ancora tempo per attivarsi, richiedendo l’abilitazione dalla propria area riservata o prenotando una videochiamata con un funzionario dell’Agenzia. In alternativa, è possibile inviare una pec o presentare la richiesta presso un qualunque ufficio dell’Agenzia. Al riguardo si può sempre ricorrere al tutorial dell’Agenzia, che spiega anche come accedere in qualità di erede o consultare la guida “L’accesso ai servizi online per rappresentanti e persone di fiducia – pdf“.

 

L’Agenzia, infine, comunica che il paniere di informazioni pre-caricate quest’anno supera 1,3 miliardi: oltre un miliardo di dati relativi a spese sanitarie, 99 milioni di premi assicurativi, 73 milioni di certificazioni uniche di lavoratori dipendenti e autonomi, 11 milioni di bonifici per ristrutturazioni, 8,5 milioni di dati relativi agli interessi passivi sui mutui e 6,5 milioni relativi a spese scolastiche. Per le dichiarazioni 2023 sono state inoltre considerate le spese per canoni di locazione e quelle di intermediazione per l’acquisto di immobili adibiti a “prima casa”: tutte informazioni che si aggiungono a quelle già presenti negli anni scorsi (contributi previdenziali e assistenziali, quelli versati per i lavoratori domestici, spese universitarie e per gli asili nido, ecc.).

 

Contributi pubblici per gestione pista ciclopedonale: rilevanza IVA in presenza di corrispettivo

Contributi pubblici per gestione pista ciclopedonale: rilevanza IVA in presenza di corrispettivo 

Il contributo versato da un Comune per la gestione di un tratto della pista ciclopedonale, affidata in house providing, rientra nel campo di applicazione dell’IVA, costituendo il corrispettivo della prestazione di servizi (Agenzia delle entrate, risposta20 settembre 2023, n. 433).

Secondo la circolare n. 34/2013 dell’Agenzia delle entrate, un contributo assume rilevanza ai fini IVA se erogato a fronte di un’obbligazione di dare, fare, non fare o permettere, ossia quando si è in presenza di un rapporto obbligatorio a prestazioni corrispettive. In tal caso, infatti, il contributo ricevuto dal beneficiario costituisce il compenso per il servizio effettuato o per il bene ceduto e pertanto configura un’operazione rilevante agli effetti dell’IVA.

La valutazione della natura di un contributo pubblico va effettuata esaminando le norme di legge che regolano la relativa elargizione da parte del soggetto pubblico, siano esse specifiche o generali, nonché le norme di rango comunitario e solo laddove non sia riscontrabile un riferimento normativo che ne individui l’esatta qualificazione nonché la relativa natura giuridica anche agli effetti tributari, occorre fare ricorso a criteri suppletivi.

 

Nel caso sottoposto all’attenzione dell’Agenzia, la società istante rappresenta la sua intenzione di stipulare con un Comune una Convenzione pluriennale avente a oggetto la concessione di una tratta della pista ciclopedonale, affidata in house providing.

Tale Convenzione trova la propria fonte normativa nella legislazione della propria Regione che, tra l’altro:

  1. qualifica la ciclovia turistica come infrastruttura di interesse pubblico, mediante un’apposita intesa per la gestione della stessa tra gli enti locali interessati territorialmente, anche attraverso la partecipazione ad una società di capitali a controllo pubblico;

  2. ammette la possibilità di concedere per il triennio 2021­-2023, a valere sulle casse regionali, contributi per la realizzazione di interventi di rinnovamento e manutenzione straordinaria dell’infrastruttura;

  3. dispone il vincolo all’uso pubblico delle infrastrutture relative alla ciclovia turistica che beneficiano del contributo regionale. Si tratta di un vincolo di destinazione perpetuo, a cura e spese dei soggetti gestori o titolari dei beni medesimi.

Al riguardo l’Agenzia ritiene che la corresponsione di queste somme trovi la propria fonte giuridica nella stipulanda Convenzione e nel relativo provvedimento amministrativo deliberativo che ha preceduto l’affidamento in house della pista.

 

Nel caso di specie, mancando un chiaro riferimento normativo in base al quale qualificare le somme elargite dal Comune, l’Agenzia chiarisce che occorre fare riferimento ai criteri suppletivi, tra cui assume un ruolo preminente il concreto assetto degli interessi che le parti intendono perseguire con la Convenzione.

La controprestazione del Comune, dunque, consiste sia nel riconoscimento del diritto di sfruttamento economico della pista e delle relative pertinenze, sia nel pagamento di un canone periodico.

Pertanto, l’Agenzia rinviene tra il Comune e l’istante un rapporto contrattuale, caratterizzato dall’obbligo dell’istante di svolgere una serie di attività correlate alla riqualificazione e alla valorizzazione della pista ciclopedonale e l’obbligo assunto dall’ente di pagare un canone periodico a integrazione dei proventi rinvenibili dall’esercizio del diritto allo sfruttamento economico di tale bene da parte della Società.

Quanto poi alla mancata espressa previsione in capo alla Società di una specifica responsabilità contrattuale e di standard qualitativi o quantitativi, l’Agenzia non ritiene che ciò giustifichi la presenza di un’erogazione non corrispettiva. Viceversa, la predeterminazione di sanzioni, parametrate alla gravità dell’inadempimento sotto il profilo del pregiudizio arrecato al regolare funzionamento del servizio, induce a inquadrare l’erogazione nell’ambito dei rapporti contrattuali.

 

In conclusione, l’Agenzia ritiene che il contributo annuale pagato dal Comune costituisce il corrispettivo della prestazione di servizi che la Società dovrà effettuare dopo la stipula della Convenzione e come tale soggetto a IVA con aliquota ordinaria.

 

Agenzia delle entrate: invio comunicazioni ai forfettari per regolarizzazione del quadro RS incompleto

Con l’invio di una comunicazione ai contribuenti in regime forfettario che non hanno indicato nel quadro RS del modello Redditi 2022 gli elementi informativi obbligatori richiesti dalla norma, l’Agenzia delle entrate esorta a regolarizzare la posizione mediante il ravvedimento operoso (Agenzia delle entrate, provvedimento 19 settembre 2023, n. 325550).

In attuazione delle disposizioni di cui all’articolo 1, comma 636, della Legge n. 190/2014, l’Agenzia delle entrate ha individuato le modalità con le quali sono messe a disposizione del contribuente e della Guardia di finanza le informazioni relative all’eventuale mancata indicazione degli elementi informativi obbligatori richiesti nel quadro RS del modello Redditi 2022 Persone Fisiche, da parte dei soggetti che hanno applicato il regime forfetario per il periodo d’imposta 2021.

 

Pertanto, l’Agenzia invierà una comunicazione a tali contribuenti per promuovere l’adempimento operoso, attraverso la presentazione di una dichiarazione integrativa e beneficiando della riduzione delle sanzioni in funzione della tempestività della regolarizzazione.

Le informazioni messe a disposizione per una valutazione in ordine alla correttezza dei dati in possesso dell’Agenzia e al fine di consentire al contribuente di fornire elementi e informazioni in grado di giustificare la presunta anomalia rilevata sono:

  • codice fiscale, cognome e nome del contribuente;

  • numero identificativo e data della comunicazione, codice atto e periodo d’imposta;

  • data e protocollo telematico del modello Redditi 2022 Persone Fisiche trasmesso per il periodo di imposta 2021.

Tali dati sono, altresì, di ausilio per la corretta compilazione del quadro RS del modello Redditi 2023 Persone Fisiche per il periodo d’imposta 2022.

 

Il ravvedimento può essere posto in essere a prescindere dalla circostanza che la violazione sia già stata constatata ovvero che siano iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di controllo, di cui i soggetti interessati abbiano avuto formale conoscenza, salvo la notifica di un atto di liquidazione, di irrogazione delle sanzioni o, in generale, di accertamento, nonché il ricevimento di comunicazioni di irregolarità e degli esiti del controllo formale.

 

L’operazione di trasmissione delle suddette informazioni da parte dell’Agenzia avviene mediante l’invio una comunicazione, tramite PEC, ai soggetti presenti nell’Indice nazionale dei domicili digitali delle imprese e dei professionisti, o in assenza di indirizzo PEC o di mancato recapito, per posta ordinaria.

Tale comunicazione è consultabile dal contribuente anche all’interno dell’area riservata del portale informatico dell’Agenzia, denominata “Cassetto fiscale”, sezione “L’Agenzia scrive”.

Infine, il provvedimento stabilisce che il contribuente, anche mediante gli intermediari incaricati della trasmissione delle dichiarazioni, possa richiedere informazioni ovvero segnalare all’Agenzia eventuali elementi, fatti e circostanze dalla stessa non conosciuti, sempre rispettando le modalità indicate nella suddetta comunicazione.

 

 

 

 

Carried interest: qualificazione come redditi di natura finanziaria

Con la risposta a interpello del 19 settembre 2023, n. 432, l’Agenzia delle entrate ha fornito chiarimenti in merito al “carried interest” e alla possibilità che tale provento sia qualificato come reddito di capitale, ai sensi dell’articolo 44, comma 1, lettera g), del TUIR.

L’articolo 60, comma 1, D.L. n. 50/2017  prevede che i proventi derivanti dalla partecipazione, diretta o indiretta, a società, enti o organismi di investimento collettivo del risparmio, percepiti da dipendenti ed amministratori di tali società, enti od organismi di investimento collettivo del risparmio ovvero di soggetti ad essi legati da un rapporto diretto o indiretto di controllo o gestione, se relativi ad azioni, quote o altri strumenti finanziari aventi diritti patrimoniali rafforzati, si considerano, al ricorrere di determinati requisiti, in ogni caso redditi di capitale o redditi diversi.

 

La presunzione in questione è applicabile in presenza di determinate condizioni:

  • l’impegno di investimento complessivo di tutti i dipendenti e gli amministratori, comporta un esborso effettivo pari ad almeno l’1% dell’investimento complessivo effettuato dall’organismo di investimento collettivo del risparmio o del patrimonio netto nel caso di società o enti;

  • i proventi delle azioni, quote o strumenti finanziari che danno i suindicati diritti patrimoniali rafforzati maturano solo dopo che tutti i soci o partecipanti all’organismo di investimento collettivo del risparmio abbiano percepito un ammontare pari al capitale investito e ad un rendimento minimo previsto nello statuto o nel regolamento ovvero, nel caso di cambio di controllo, alla condizione che gli altri soci o partecipanti dell’investimento abbiano realizzato con la cessione un prezzo di vendita almeno pari al capitale investito e al predetto rendimento minimo;

  • le azioni, le quote o gli strumenti finanziari aventi i suindicati diritti patrimoniali rafforzati sono detenuti dai dipendenti e amministratori di cui al presente comma, e, in caso di decesso, dai loro eredi, per un periodo non inferiore a cinque anni o, se precedente al decorso di tale periodo quinquennale, fino alla data di cambio di controllo o di sostituzione del soggetto incaricato della gestione».

L’Agenzia spiega  come la sussistenza dei richiamati requisiti sia garanzia di un allineamento fra i manager e gli altri investitori in termini di interesse alla remunerazione dell’investimento e di rischio di perdita del capitale investito, ovvero la ratio dell’assimilazione di tali proventi ai redditi di natura finanziaria.

Nel caso di specie, l’Istante ha descritto una complessa struttura di investimento che prevede la sottoscrizione di quote ordinarie di un fondo e quote speciali di una limited partnership differente rispetto al soggetto emittente le quote ordinarie.

Tale articolazione, chiarisce l’Agenzia, non è conforme alle previsioni della norma in esame, la quale prevede espressamente che l’ammontare minimo dell’investimento debba essere parametrato non a un progetto con investimenti multipli, ma agli importi impegnati dall’organismo di investimento collettivo del risparmio o con il patrimonio netto dell’emittente, nel caso di società o enti.

Inoltre, l’Agenzia rileva non conforme alla disciplina dell’articolo 60 la circostanza che la verifica della ricorrenza del requisito del rendimento minimo o hurdle rate debba essere operata con riferimento all’investimento effettuato dagli investitori nei ”fondi paralleli” e non, invece, con riferimento al rendimento  ritraibile dagli investitori che partecipano alla partnership che emette le quote speciali.

Un’ulteriore criticità risiede nella circostanza che la Società istante operi quale sub advisor del soggetto incaricato del supporto al soggetto gestore dei ”fondi paralleli”.

Le advisory company, infatti, intervengono sulle strategie di investimento e sulle relative scelte fornendo un supporto alla gestione che ne condiziona le decisioni, ma tale estensione dell’ambito soggettivo di applicazione non può includere anche soggetti che forniscano servizi di supporto alle advisor company, vendendo così meno il nesso tra le scelte strategiche del management ed il risultato atteso dagli investitori.

Pertanto, l’Agenzia mette in atto un’analisi volta a verificare l’idoneità dell’investimento per determinare l’allineamento di rischi tra soci e management, consentendo di attribuire alle somme in argomento natura finanziaria.
In particolare, nel caso di specie, assumono rilievo ai fini della qualificazione dei redditi di natura finanziaria, tre elementi:

  1. la presenza di investitori non manager tra gli aventi diritto ai proventi connessi alle  quote speciali;

  2. l’idoneità dell’investimento in termini di ammontare, incluso l’investimento in quote ordinarie, a garantire l’allineamento di interessi tra investitori e manager;

  3. la remunerazione dei manager adeguata per l’attività svolta.

Assumono, inoltre, rilievo le integrazioni contrattuali dirette a non limitare in alcun modo il rischio di perdita del capitale investito dai manager, allineando il profilo di rischio di questi ultimi con quello degli altri investitori.

Dunque, sulla base di quanto emerso a seguito delle predette modifiche, l’Agenzia giunge a ritenere che i redditi derivanti dall’investimento in quote speciali in esame possano costituire redditi di natura finanziaria.

Crediti d’imposta imprese energivore: beneficio emerso in relazione a una fattura di conguaglio

Con riferimento ai crediti d’imposta in favore delle imprese energivore, l’Agenzia delle entrate ha fatto chiarezza in merito alla possibilità di compensare maggiori crediti riconducibili a maggiori costi energetici fatturati dal fornitore dopo la scadenza del termine di presentazione della comunicazione dei crediti residui (Agenzia delle entrate, risposta 18 settembre 2023, n. 429).

L’articolo 1, comma 6, del Decreto Aiuti­quater ha stabilito che i beneficiari dei crediti d’imposta per l’acquisto di prodotti energetici, tra cui il credito relativo al terzo trimestre 2022, dovevano inviare entro il 16 marzo 2023­ all’Agenzia delle entrate un’apposita comunicazione dell’importo del credito maturato nell’esercizio 2022.

 

Al riguardo, l’Agenzia ha ricordato che le spese per l’acquisto dell’energia elettrica utilizzata si considerano sostenute in applicazione dei criteri di cui all’articolo 109, commi 1 e 2, del TUIR e il loro sostenimento nel periodo di riferimento deve essere documentato mediante il possesso delle fatture di acquisto.

 

Il credito, dunque, è riconosciuto alle imprese beneficiarie in ragione del principio di competenza economica, con riferimento al momento dell’acquisto e dell’effettivo consumo della componente energetica, potendo essere differito il momento del sostenimento dell’effettivo onere finanziario. 

Fondamentale è che il fruitore sia in possesso delle fatture di acquisto.

L’Agenzia, con la circolare n. 25/2022, ha già avuto modo di chiarire le condizioni per l’utilizzo in compensazione di tali crediti: cioè che le spese per l’acquisto dell’energia elettrica consumata si potessero considerare sostenute nel predetto trimestre e che il loro sostenimento fosse documentato mediante il possesso delle fatture di acquisto.

 

Nel caso di specie, l’istante ha riferito di aver ricevuto­ una fattura dal proprio fornitore di energia elettrica relativa ai consumi energetici del terzo trimestre 2022, pervenuta dopo il termine decadenziale per effettuarne la comunicazione.

Per poter fruire del credito, pertanto, l’Agenzia ha suggerito di provare l’esistenza del sostenimento dei costi per consumo energetico imputabili per competenza al periodo di riferimento ­ e di presentare la comunicazione prevista dall’articolo 1, comma 6, del Decreto Aiuti­quater.

In particolare, tale comunicazione potrà essere presentata:

– senza la necessità di ricorrere all’istituto della remissione in bonis;

– versando la sanzione di 250 euro stabilita dall’articolo 11, comma 1, del D.Lgs n. 471/1997.

 

Infine, in merito all’utilizzo in compensazione di tale credito, l’Agenzia ha ricordato che:

  • la comunicazione dovrà necessariamente precedere l’utilizzo del credito;

  • la comunicazione non potrà comunque essere effettuata oltre il termine fissato del 30 settembre 2023 ;

  • il codice tributo da indicare nel modello F24 sarà “6969”.

 

 

Remunerazione aggiuntiva per le farmacie non soggetta a IVA

L’Agenzia delle entrate ha fornito chiarimenti riguardo alla rilevanza ai fini IVA della remunerazione aggiuntiva per le farmacie per il rimborso dei farmaci erogati in regime di SSN (Agenzia delle entrate, risposta 15 settembre 2023, n. 2).

Un’associazione di farmacie ha chiesto chiarimenti all’Agenzia delle entrate in merito alla natura della “remunerazione aggiuntiva” introdotta dalla Legge di bilancio 2023, in particolare, chiedendo se detta remunerazione fosse considerato un contributo a fondo perduto, escluso dal campo di applicazione dell’IVA.

 

In risposta a tale quesito, l’Agenzia ha rinviato ai chiarimenti già forniti con le risposte nn. 219 e 227 del 2022, nelle quali veniva qualificata non rilevante ai fini IVA la remunerazione aggiuntiva a favore delle farmacie per il rimborso dei farmaci erogati in regime di SSN, disposta dal D.L. 22 marzo 2021, n. 41, convertito, con modificazioni, dalla Legge 21 maggio 2021, n. 69, e meglio specificata nel relativo Decreto attuativo (D.M. 11 agosto 2021).

 

L’articolo 1, comma 532, della Legge di bilancio 2023 ha previsto il riconoscimento “a regime”, a partire dal 1 marzo 2023, di una remunerazione aggiuntiva in favore delle farmacie per il rimborso dei farmaci erogati in regime di SSN, finalizzata a salvaguardare la rete di prossimità rappresentata dalle farmacie italiane.

Tale remunerazione è riconosciuta anche sulla base degli esiti della sperimentazione prevista dall’articolo 20, commi 4, 5 e 6, del D.L. n. 41/2021 ed è considerata in continuità con quest’ultima previsione.

Analogamente a quella riconosciuta in via sperimentale, anche la remunerazione aggiuntiva non concorre alla determinazione della spesa farmaceutica convenzionata, ai fini del raggiungimento del limite di cui all’art. 1, comma 475, della legge 30 dicembre 2020, n. 178.

 

L’Agenzia ha spiegato che l’erogazione delle suddette somme:

  • avviene al verificarsi di presupposti predefiniti;

  • non è commisurata al prezzo dei farmaci (essendo riconosciuta in relazione alle singole confezioni cedute, a prescindere dal prezzo);

  • non modifica il prezzo al pubblico del farmaco.

L’elemento di novità, rispetto alla precedente normativa, è rappresentato dal fatto che la remunerazione aggiuntiva prevista dal presente decreto concorre al calcolo del fatturato annuo del servizio sanitario nazionale, a causa della presenza di un tetto massimo di spesa, la cui copertura è data a valere proprio sulle risorse di cui all’articolo 1, commi 34 e 34 -bis, della Legge n. 662/1996.

Pertanto, in caso di esaurimento delle risorse stanziate dalla norma, avverrebbe l’interruzione dell’erogazione e il recupero delle eventuali somme erogate in eccesso.

 

In conclusione, quindi, l’Agenzia delle entrate ha riconfermato l’irrilevanza ai fini IVA della remunerazione aggiuntiva introdotta a regime dalla Legge di bilancio 2023, analogamente a quella sperimentale relativa agli anni passati.

 

 

Detrazione IVA: serve corrispondenza tra rappresentazione cartolare e reale operazione economica

Il mero possesso della fattura non legittima il diritto a detrazione dell’IVA, che deve essere coerente con l’operazione sottostante (Agenzia delle entrate, risposta 11 settembre 2023, n. 426).

L’articolo 168 della Direttiva IVA, trasfuso nell’articolo 19 del decreto IVA, dispone che il diritto a detrazione dell’imposta di cui beneficia il soggetto passivo riguarda non soltanto l’IVA che ha versato, ma anche l‘IVA “dovuta”, riferita ad un debito tributario esigibile.

Ne consegue che il diritto a detrazione dell’IVA non può, in linea di principio, essere subordinato all’effettivo previo pagamento dell’IVA stessa.

Per l’Agenzia delle entrate, dunque, tali principi valgono fintanto che c’è corrispondenza tra il valore del bene o della prestazione concretamente ricevuta e il corrispettivo dovuto, cui corrisponde l’IVA detraibile.

 

L’Agenzia ricorda che il tema del rapporto tra principio di cartolarità e principio di neutralità dell’IVA è stato più volte affrontato nella giurisprudenza della Cassazione e della Corte di Giustizia UE.

In particolare, la Corte di Cassazione ha affermato che il destinatario della fattura non è legittimato a portare in detrazione l’IVA indebitamente fatturata, laddove non sussista­ o non venga ripristinato con procedura di variazione o ancora non sia possibile ripristinare la corrispondenza tra rappresentazione cartolare e reale operazione economica. 

Spetta all’emittente della fattura, quale soggetto passivo, versare l’IVA liquidata in fattura nel caso in cui non abbia tempestivamente provveduto ad avvalersi della specifica disciplina predisposta dallo Stato membro, per emendare gli errori concernenti la emissione o la indicazione dei dati riportati nella fattura.

Con il ripristino della corrispondenza tra realtà economica e rappresentazione cartolare, si riconduce a regolarità il funzionamento del sistema IVA, consentendo l’applicazione della esatta imposta dovuta e il corretto esercizio del diritto a detrazione, da parte del destinatario della fattura emendata da errori.

 

Sempre la Corte di Cassazione ha più volte affermato che la Direttiva IVA circoscrive il diritto alla detrazione alle sole imposte dovute e non può essere esteso all’IVA indebitamente versata a monte, per cui non si estende all’imposta dovuta esclusivamente in quanto esposta sulla fattura.

Secondo la giurisprudenza, dunque, il mero possesso di una fattura non legittima alla detrazione dell’IVA indicata, in quanto l’imposta deve essere coerente con l’operazione sottostante, con la conseguenza che il committente non è legittimato a portare in detrazione l’IVA indebitamente fatturata laddove non sussista corrispondenza tra rappresentazione cartolare e reale operazione economica, ovvero tale corrispondenza non sia ripristinata con la procedura di variazione.

Ciò vale, come nel caso di specie, anche qualora tale ripristino non fosse più possibile.

 

Nel caso sottoposto all’attenzione dell’Agenzia:

– il credito IVA invocato dall’istante deriva da un debito non esigibile, in quanto dallo stesso mai pagato perché prontamente contestato per vie legali e in sede di contenzioso;

– il controvalore effettivo della prestazione di consulenza ricevuta è quello rideterminato per effetto dell’accordo transattivo­ e non anche quello documentato con le fatture oggetto di contestazione e mai saldate.

 

Pertanto, l’Agenzia è del parere che, al ricorrere dei relativi presupposti ossia che i servizi cui si riferiscono le fatture siano effettivamente inerenti l’attività d’impresa svolta dall’istante e afferenti a operazioni eseguite/da eseguire, nonché escluso qualunque intento fraudolento, l’istante potrà portare in detrazione la sola IVA derivante dall’accordo transattivo, in quanto imposta effettivamente dovuta.

Infine, l’Agenzia chiarisce che, nel caso in esame, non assumendo l’importo dell’IVA originariamente indicato nelle fatture emesse dal prestatore alcuna rilevanza fiscale, neppure la differenza tra tale importo e quello dell’IVA detraibile rileverà ai fini IRES e IRAP.

 

Surroga nei diritti di credito: soggetto legittimato ad emettere nota di variazione IVA

L’Agenzia delle entrate ha chiarito che, nell’ipotesi di surroga nei diritti di credito, l’assicurato rimane l’unico soggetto legittimato ad emettere la nota di variazione IVA in diminuzione (Agenzia delle entrate, risposta 11 settembre 2023, n. 427).

Una società attiva nel settore delle assicurazioni dei crediti commerciali, cauzioni e recupero crediti ha sottoposto all’attenzione dell’Agenzia delle entrate un quesito relativo alla possibilità di emettere una nota di variazione IVA in diminuzione in relazione a un credito originariamente vantato da un proprio assicurato nei confronti di un terzo soggetto responsabile e per il quale, all’esito di un procedimento di surrogazione, si è verificato il mancato pagamento da parte del debitore ceduto a causa di procedure concorsuali rimaste infruttuose. 

 

L’articolo 26 del Decreto IVA disciplina le variazioni in diminuzione dell’imponibile e dell’imposta, il cui esercizio ha natura facoltativa ed è limitato alle ipotesi espressamente previste.

Ai sensi di tale articolo se un’operazione per la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla registrazione, viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l’ammontare imponibile, in conseguenza di dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili o in conseguenza dell’applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente, il cedente del bene o prestatore del servizio ha diritto di portare in detrazione l’imposta corrispondente alla variazione.

 

Nell’ambito di procedure concorsuali, la possibilità di emettere una nota di variazione in diminuzione si applica anche in caso di mancato pagamento del corrispettivo, in tutto o in parte, da parte del cessionario o committente:

  • a partire dalla data in cui quest’ultimo è assoggettato alla procedura concorsuale o dalla data del decreto che omologa un accordo di ristrutturazione dei debiti o dalla data di pubblicazione nel registro delle imprese di un piano attestato ai sensi dell’articolo 67, terzo comma, lettera d), del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267;

  • a causa di procedure esecutive individuali rimaste infruttuose.

L’Agenzia ricorda che il recupero dell’imposta attraverso la nota di variazione presuppone sempre l’identità tra l’oggetto della fattura e della registrazione originaria, da un lato, e, dall’altro, l’oggetto della registrazione della variazione, in modo che esista corrispondenza tra i due atti contabili.

È necessario, dunque, che la nota di variazione sia speculare alla fattura originaria e che permanga l’identità tra gli originari soggetti dell’operazione imponibile.

 

Di qui la conclusione dell’Agenzia per cui, nell’ipotesi di surroga dell’assicuratore, dal punto di vista fiscale l’assicurato (originario cedente/prestatore) rimane l’unico soggetto legittimato ad emettere la nota di variazione in diminuzione.

Qualora, poi, il cliente insolvente fosse assoggettato ad una procedura concorsuale, il cedente/prestatore potrà procedere all’emissione della nota di variazione al momento dell’apertura della procedura medesima.

Inquadramento fiscale delle indennità aggiuntive di fine servizio erogate da un Fondo di previdenza

L’Agenzia delle entrate ha illustrato il trattamento fiscale delle indennità aggiuntive di fine servizio erogate da un Fondo di previdenza alimentato prevalentemente da premi di produttività o incentivi all’attività d’istituto (Agenzia delle entrate, risposta 8 settembre 2023, n. 425).

Il comma 1 dell’articolo 17 del TUIR individua i redditi che, in considerazione della loro tendenziale formazione pluriennale, non concorrono alla formazione del reddito complessivo cui si applica la tassazione ordinaria e che sono invece assoggettati al regime di tassazione separata.

 

L’imposta si applica separatamente ai seguenti redditi:

trattamento di fine rapporto di cui all’articolo 2120 c.c. e indennità equipollenti, comunque denominate, commisurate alla durata dei rapporti di lavoro dipendente, compresi quelli contemplati alle lettere a), d) e g) del comma 1 dell’art. 50, anche nelle ipotesi di cui all’art. 2122 c.c.;

altre indennità e somme percepite una volta tanto in dipendenza della cessazione dei predetti rapporti, comprese l’indennità di preavviso, le somme risultanti dalla capitalizzazione di pensioni e quelle attribuite a fronte dell’obbligo di non concorrenza ai sensi dell’articolo 2125 c.c. nonché le somme e i valori comunque percepiti, al netto delle spese legali sostenute, anche se a titolo risarcitorio o nel contesto di procedure esecutive, a seguito di provvedimenti dell’autorità giudiziaria o di transazioni relativi alla risoluzione del rapporto di lavoro.

 

Il trattamento di fine rapporto costituisce reddito per un importo che si determina riducendo il suo ammontare delle rivalutazioni già assoggettate ad imposta sostitutiva.

L’imposta è applicata con l’aliquota determinata con riferimento all’anno in cui è maturato il diritto alla percezione, corrispondente all’importo che risulta dividendo il suo ammontare, aumentato delle somme destinate alle forme pensionistiche di cui al D.Lgs. n. 124/1993 e al netto delle rivalutazioni già assoggettate ad imposta sostitutiva, per il numero degli anni e frazione di anno preso a base di commisurazione, e moltiplicando il risultato per dodici.

 

Riguardo alle indennità equipollenti, l’Agenzia ricorda che:

  • sono definite come tali le indennità spettanti ai pubblici dipendenti e, in specie, stante la codificata equipollenza, ovvero equivalenza con il TFR, quelle corrisposte in ogni caso in cui venga a cessare il rapporto di pubblico impiego o l’appartenenza a una generale categoria di tale settore;

  • sono imponibili per un importo che si determina riducendo il loro ammontare netto di una somma pari a euro 309,87 per ciascun anno preso a base di commisurazione, con esclusione dei periodi di anzianità convenzionale (per i periodi inferiori all’anno la riduzione è rapportata a mese);

  • se il rapporto si svolge per un numero di ore inferiore a quello ordinario previsto dai ccnl, la somma è proporzionalmente ridotta;

  • l’imposta è applicata con l’aliquota determinata con riferimento all’anno in cui è maturato il diritto alla percezione, corrispondente all’importo che risulta dividendo il suo ammontare netto, aumentato delle somme destinate alle forme pensionistiche di cui al D.Lgs. n. 124/1993, per il numero degli anni e frazione di anno preso a base di commisurazione, e moltiplicando il risultato per dodici.

  • l’ammontare netto delle indennità, alla cui formazione concorrono contributi previdenziali posti a carico dei lavoratori dipendenti e assimilati, è computato previa detrazione di una somma pari alla percentuale di tali indennità corrispondente al rapporto, alla data del collocamento a riposo o alla data in cui è maturato il diritto alla percezione, fra l’aliquota del contributo previdenziale posto a carico dei lavoratori dipendenti e assimilati e l’aliquota complessiva del contributo stesso versato all’ente, cassa o fondo di previdenza.

In particolare la circolare MEF n. 2/1986 ha specificato che qualora il dipendente abbia diritto a più indennità, il carattere di ”equipollente” va assegnato a quella ”principale”, spettante per il rapporto di pubblico impiego che lega il beneficiario all’ente o organismo di appartenenza. Le altre indennità e somme percepite una volta tanto in dipendenza della cessazione dei predetti rapporti, invece, sono emolumenti, sia nel comparto privato che pubblico,­ erogati in connessione al verificarsi della cessazione del rapporto di lavoro, comprese le indennità commisurate alla durata del rapporto stesso e corrisposte anche da soggetti diversi dal datore di lavoro vero e proprio.

Per il settore pubblico, dove normalmente non sono previste indennità, premi ed erogazioni aggiuntive dell’indennità di fine rapporto spettante in via principale, le ”altre indennità e somme” si compendiano essenzialmente negli emolumenti erogati da Fondi o Casse di previdenza che, per ciascuna categoria di pubblici dipendenti, di solito corrispondono un trattamento aggiuntivo di fine rapporto, ragguagliato per lo più agli anni di effettivo servizio prestato presso l’Amministrazione che eroga il trattamento.

 

Ciò premesso, in riferimento alla fattispecie oggetto d’interpello, l’Agenzia ritiene che “l’indennità” erogata al dipendente, all’atto della cessazione dal servizio, dal Fondo di previdenza rientri nell’ambito di tali ”altre indennità somme”, rappresentando un’indennità integrativa di quella principale (indennità di buonuscita) corrisposta dall’INPS.

Tuttavia, a seguito di numerose pronunce della Corte di cassazione nelle quali tale indennità è risultata ”equipollente” al TFR, l’Avvocatura Generale dello Stato, con nota n. 168969/2023, ha chiarito che:

  1. l’indennità erogata al dipendente, all’atto della cessazione dal servizio, dal Fondo di previdenza ha funzione previdenziale ed è assimilabile all’indennità equipollente rappresentando una forma di retribuzione differita con applicazione di tassazione separata e non integrale, essendo la composizione del fondo costituito in massima parte da premi di produttività o da incentivi da parte dell’istituto;

  2. va applicata la tassazione separata prevista dall’art. 17 del­ T.U.I.R.

Ai fini della determinazione della base imponibile, il Fondo ha natura composita, ma non rinviene direttamente da contributi versati dai lavoratori, e dunque non va applicato il criterio di riduzione del calcolo dell’imponibile, mentre va riconosciuta la deduzione forfettaria di cui al primo periodo dell’art. 19, comma 2­bis del T.U.I.R..

 

In conclusione, l’Agenzia afferma che l’indennità erogata dall’Ente ai dipendenti al momento della cessazione dal servizio vada assoggettata a tassazione separata e sia imponibile per un importo che si determina riducendo l’ammontare netto di una somma pari a euro 309,87 per ciascun anno di servizio.